Connessioni

Siamo tutti empatici, finché non arriva il momento di esserlo davvero

“Ci sono parole che accarezzano e parole che sfiorano. La differenza è sempre nell’intenzione.”

Quante volte non troviamo il coraggio, o nemmeno il desiderio, di aprirci con qualcuno?
Quante volte preferiamo affrontare tutto da soli, convinti che raccontarci non servirebbe comunque, perché tanto non verremmo davvero compresi?

A forza di farlo, questa abitudine diventa una corazza sottile: tenersi tutto dentro sembra un modo per proteggersi.
Ma l’essere umano non è fatto per vivere in solitudine emotiva.
Siamo stati costruiti per risuonare, per connetterci, per vibrare nella presenza dell’altro.

Siamo nati per essere ponte, non fortezza.

La verità è che non ci spaventa la vulnerabilità.
Ci spaventa non trovare qualcuno capace di accoglierla.

Quando qualcuno ci ascolta davvero… lo senti prima ancora di capirlo

Le persone che nella mia vita hanno saputo ascoltarmi davvero sono poche. Non perché gli altri fossero superficiali, ma perché l’ascolto autentico è raro.
Richiede presenza, coraggio, pazienza.
Richiede la forza di non indietreggiare quando l’emozione dell’altro si fa intensa.

Chi ci vuole davvero bene non è colui che ha le risposte giuste.
È colui che resta.
Che non riempie il silenzio, non sposta la conversazione su di sé, non usa il nostro dolore come occasione per parlare del proprio.

Fa qualcosa di molto più difficile e sacro: si siede accanto e rimane.

L’empatia non è trovare la frase perfetta.
È essere un luogo in cui l’altro può posare la propria verità senza timore di romperla.

Prima delle persone, l’empatia ha riguardato l’arte

È sorprendente scoprire che la parola “empatia” non nasce dalla psicologia, ma dall’estetica. Il filosofo tedesco Robert Vischer conia Einfühlung nell’Ottocento per descrivere la capacità di “sentire dentro” un’opera d’arte.
Di percepire nella pittura, nella scultura, nel gesto dell’artista un’emozione che non è nostra, eppure ci attraversa.

Prima ancora di capire gli altri, abbiamo capito i quadri.

Decenni dopo, lo psicologo Theodor Lipps porta questa intuizione dalle tele alle persone. Osserva fenomeni quotidiani: lo sbadiglio contagioso, il riso che si diffonde, il rossore che appare su più volti contemporaneamente.

Lipps intuisce che non imitiamo l’altro: lo rispecchiamo.
La scienza lo confermerà non molto tempo dopo.

I neuroni specchio: quando il cervello rivela ciò che sentiamo davvero

Anni ’90, Università di Parma. Il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti e il suo team scoprono per caso i neuroni specchio.
Notano che alcuni neuroni si attivano sia quando la scimmia compie un gesto, sia quando ne osserva un’altra compierlo.

È una rivoluzione: il cervello rispecchia il mondo esterno come se fosse proprio.

Poi arriva un’intuizione ancora più sorprendente: questi neuroni riflettono anche le emozioni.
Il pianto di un neonato contagia gli altri.
Uno sbadiglio ne richiama un altro.
La sofferenza di una persona amata modifica il nostro respiro.

I neuroni specchio riconoscono la verità emotiva.
Si attivano solo di fronte alla presenza autentica.
Si disattivano quando l’emozione è finta.

Il corpo non mente.
Un “mi dispiace” recitato non tocca nessuno.
Un silenzio sincero consola più di mille parole.

Da dove nasce la vera empatia?

L’empatia non nasce nel giorno in cui incontriamo qualcuno.
Nasce molto prima: dentro la nostra infanzia.

Un bambino che cresce vedendo ascolto, cura, calma e delicatezza sviluppa naturalmente la capacità di fare lo stesso.
Gli studi mostrano che entro i primi cinque anni si forma la base della nostra empatia.

Chi non l’ha ricevuta non è condannato:  si può imparare.
Non è un talento: è un muscolo emotivo.

Un pezzo di respiro: l’empatia quando l’ho incontrata davvero

C’è stato un tempo in cui ho conosciuto l’empatia nella sua forma più pura. L’ho conosciuta attraverso una persona che non ho mai dovuto chiamare: arrivava da sola.
Non perché fosse obbligata, ma perché le veniva naturale.

Con lei non c’era bisogno di chiedere presenza.
Era presenza.
Sapeva ascoltare senza voler aggiustare, sapeva contenere senza trattenere, sapeva restare anche quando non c’erano parole.

Parlare con lei non mi alleggeriva: mi condivideva.
Le mie fragilità non cadevano nel vuoto: trovavano spazio.
Non eravamo due persone che si raccontavano le proprie vite.
Eravamo due interiorità che si riconoscevano.

Un pezzo di me vive ancora dentro di lei, e sono certa che anche senza di me il mondo continuerà a beneficiare del modo in cui sa ascoltare, accogliere, comprendere.
Persone così non si dimenticano: ti insegnano cosa significa davvero entrare nelle emozioni dell’altro.

Forse è anche per questo che oggi sono più selettiva.
Non perché pretenda troppo, ma perché so cosa significa essere accolta pienamente.
Dopo aver conosciuto quella verità emotiva, non accetti più le imitazioni.

Le risposte che fanno più male del silenzio

Molte persone rispondono in modo superficiale non per mancanza di interesse, ma perché non sanno sostenere la presenza.
Temono di dire la cosa sbagliata, di essere travolte, di diventare responsabili del dolore altrui.

Per questo emergono risposte come: “Succede anche a me…”.
Non è empatia: è spostare il centro della scena su di sé.

La risposta più empatica, spesso, è la più semplice:
“Ci sono. Se vuoi, raccontami.”

Quando la mente non si muove, il cuore non si apre

Ci sono persone che non cambiano idea nemmeno davanti all’evidenza.
Non perché siano testarde, ma perché il movimento, qualunque tipo di movimento, le spaventa.

Ho capito col tempo che questa rigidità non riguarda solo il pensiero.
Riguarda anche le emozioni.
Riguarda il modo in cui ci si avvicina o ci si ritrae,
il modo in cui si lascia entrare l’altro o lo si tiene fuori.

Ascoltare davvero richiede flessibilità: un piccolo spostamento interno.
Significa permettere all’altro di toccarci anche solo per un istante.
E chi non riesce a farsi sfiorare da un pensiero diverso
quasi mai riesce a farsi sfiorare da un’emozione che non sia la propria.

È difficile sentire qualcuno se prima non si è disposti a muoversi un po’.
E ciò che rimane rigido, alla fine, rimane solo.

L’empatia non è complicata.
È solo rara.
E forse il punto è questo: quando la trovi, lo senti.
E quando non c’è, lo senti ancora di più.

In my humble opinion

Crediti per l’immagine: https://it.freepik.com/

Giorgia Rogante

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Giorgia Rogante

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