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Dove è finita la nostra umanità?

È il 12 Novembre quando decido di prendermi una serata libera dagli impegni lavorativi! Il mio obiettivo? Recuperare qualche film imperdibile consigliato dai colleghi e dagli amici, appassionati della settima arte quanto me. Prima di collegarmi in rete alla ricerca delle interessanti proposte con cui ho scelto di passare un paio d’ore all’insegna del buon cinema, accendo la televisione e mi soffermo con curiosità sulle immagini che passano casualmente sullo schermo. Rimango immediatamente colpito: decido di cambiare programmi e di dedicarmi alla visione della fiction biografica “Un sogno italiano”, una recente produzione RAI. Vi chiederete il motivo per cui ho deciso di parlarvene in un articolo: per chi non lo sapesse, il girato racconta la storia di Enrico Piaggio, di sua moglie Paola Bechi Luserna e della sua personalità ricca di sfaccettature inedite e prepotentemente originali, le quali hanno contribuito inevitabilmente alla creazione dell’iconica Vespa.

Non è la prima volta che rimango affascinato dalla storia di un’azienda così avanguardista: nell’Ottobre del 2018 ho avuto modo di fare visita alla fabbrica del marchio tricolore a Pontedera, in provincia di Pisa. Inutile dire che mi sono emozionato come un bambino di fronte alla particolarità di un ingegno umano tanto fine e originale: dalla prima Vespa sperimentale al modello Dalì, arrivando infine alla felliniana 125 “Dolce Vita” e alla prime carrozzerie da racing. Insomma, la Piaggio rappresenta un connubio di passione, creatività e un pizzico di romanticismo; una commistione perfetta che ha saputo creare un binomio tra cultura e imprenditoria, senza lasciare nulla al caso.

Il Museo della Piaggio: sulle orme storiche di un imprenditore fuori dagli schemi

Cosa ha reso Enrico Piaggio il personaggio di spicco che la RAI ha deciso di presentare al grande pubblico? Cosa rende la sua vicenda tanto suggestiva e ispiratrice per gli imprenditori di tutto il mondo? Nato a Pegli, in Liguria, il giovane studente completa la facoltà di Economia e Commercio per entrare nell’azienda di famiglia già nel 1927, quando la Piaggio è solita produrre materiali bellici, carlinghe ed eliche per sostenere la causa tricolore nella Seconda Guerra Mondiale. Gli anni di slancio bellico consentono di investire nel settore industriale e di crescere rapidamente, ingenerando una florida economia imprenditoriale che, nel giro di poco tempo, conta più di 2000 dipendenti.

La situazione politica in cui versa la nostra Italia, di contro, non è favorevole: nel 1943 – mentre cena nella hall di un hotel – Enrico Piaggio viene colpito da un proiettile sparato da un ufficiale della Repubblica di Salò in risposta al comportamento irrispettoso dell’imprenditore durante il discorso del generale Graziani. Eppure, nonostante la perdita del rene e la sofferenza che ne fa seguito, l’evoluzione umana è condizione indispensabile per concretizzare una sperimentazione creativa e dinamica: la Vespa diviene il simbolo popolare, moderno e altamente patriottico con cui dare sfogo alla capacità squisitamente umana che egli dimostra di saper impiegare nella sua vita. Piaggio fu un personaggio straordinario in virtù della sua innata abilità di cogliere le esigenze di un popolo, trasformandole in realtà.

Sebbene sia spesso affascinato maggiormente dalla storia dell’azienda, devo ammettere che in questo caso le vicende umane mi hanno colpito ancora di più: il rischio che spesso si corre è quello di celebrare l’invenzione e non il processo creativo che l’ha resa possibile. Piaggio fu capace di osservare la gente, comprenderne le sofferenze e le aspettative, i sogni e i desideri, senza per questo trincerarsi dietro un’indifferenza che proviene da chi, di dolore, ne ha visto poco nella sua vita. In Piaggio la creatività si mescola all’empatia per dare vita a un mix sapientemente bilanciato tra compassione e impegno sociale, aiuto del più debole e partecipazione a 360 gradi nella realtà che ogni uomo o donna vive quotidianamente. Perchè vi racconto questo?

Piaggio, l’Italia e gli Stati Uniti d’America: una questione di umanità

Voglio fare un salto indietro nel tempo per condurvi con me nel lontano 2001: la mia prima volta negli Stati Uniti d’America non si scorda facilmente! Ancora oggi racconto spesso ai miei amici di quanto rimasi colpito dalla fredda indifferenza di una popolazione sempre di corsa, scattante e produttiva, ben lontana dalla convivialità italiana di cui avevo fatto esperienza nei primi 20 anni della mia vita. L’egoismo d’oltreoceano mi colpì negativamente: la mentalità statunitense era diametralmente opposta alla curiosa partecipazione che animava le nostre strade. Il chiedere aiuto era visto come impedimento, la spontanea partecipazione non era altro che una chimera; in Italia la situazione era diversa e non mancava occasione di incontrare persone disposte a prendere parte a una causa comune. Amici e famiglia erano i punti fermi su cui poter contare anche nei momenti più difficili da affrontare; in America la mentalità imponeva ancora il rigido individualismo da cui è sempre molto difficile sfuggire.

Eppure le realtà sociali sono cambiate e la situazione si è capovolta: negli ultimi anni mi capita spesso di scrivere e telefonare agli amici che hanno messo radici negli USA per chiedere loro come si trovano; mi raccontano di un’America più tollerante e partecipativa, in cui sono stati compiuti sforzi umani al fine di creare una stratificazione sociale più giusta e tollerante. Mi viene domandato “ E della nostra Italia? Che mi dici?” Spesso mi sale un nodo in gola. Il nostro Paese è diventato sempre più menefreghista, egoista e trincerato dietro la paura del diverso, dell’altro e di ciò che ha segnato la crescita sociale di una nazione che ha vissuto e sta vivendo tempi di forte povertà.

Un’inversione di tendenza: la deriva italiana

Che cosa è successo? Cosa ha causato questa imprevedibile e dolorosa inversione di tendenza? Vedo un popolo italiano sempre più esasperato, impoverito, tartassato da tasse e slogan che incitano al non-pensiero. Gli anni hanno segnato lo spirito delle persone e hanno trasformato la nostra tolleranza in un residuo arido e privo di empatia. Insomma, la vita difficile non indulge al buon umore! La reazione più comune è quella di chiuderci in noi stessi per osservare la realtà come se fosse sempre pronta a colpirci alle spalle.

Il risultato? Un lento processo di inaridimento in cui le vittime sono state la creatività, la fantasia, il buon umore e – prima fra tutte – l’umanità. Come fare beneficienza se non si ha la possibilità di arrivare dignitosamente a fine mese? Come credere nelle associazioni no-profit che si impegnano per dare assistenza, lì dove lo Stato non riesce ad arrivare? Ogni giorno leggo online le notizie delle principali testate giornalistiche: mi viene raccontato di soldi spesi male, disastri ambientali, noncuranza e violenza. La Florida dell’Europa è un residuo dell’antico splendore che ha caratterizzato le precedenti generazioni, spontanee e creative, coraggiose e tolleranti, come lo era Enrico Piaggio.

Vorrei scorrere le notizie e commuovermi di fronte ad avvenimenti ricchi di speranza e compassione, onestà e partecipazione. Eppure devo soffocare il mio orgoglio italiano sotto il peso di mafia e inquinamento, corruzione e debiti pubblici. Ogni giorno, violenze e stupri macchiano di sangue il Paese in cui vivo, mentre la spazzatura ha ricoperto negli anni la magnificenza di un territorio in cui la natura dovrebbe far da padrona. Il nostro patrimonio rimane senza patria, la nostra attitudine senza voce. Fino a quando potremo reggere il peso di questa situazione? Ma soprattutto quale sarà la via della salvezza? Come potremo uscire da questa spirale viziosa?

Vi ponete mai queste domande? Oppure aspettate che la situazione precipiti a capofitto per poi cercare di trovare una soluzione, magari giustificata da un “le cose dovevano andare proprio così.” E se invece provassimo a reagire? Se – come Enrico Piaggio – fossimo pronti a guardare in faccia la sofferenza a testa alta, senza paura di rimanere troppo colpiti da una società che non abbiamo il coraggio di accettare? A voi la parola!

Giorgio Monticelli

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