Siamo noi a decidere se lasciarci limitare o se usare la nostra mente per comprendere davvero ciò che ci circonda.
Ti sei mai chiesto se l’intelligenza artificiale ci stia rendendo più simili tra noi? O se, al contrario, ci stia solo mostrando quanto siamo diversi, nel modo in cui pensiamo, scegliamo e comprendiamo ciò che ci circonda?
È una domanda che mi accompagna spesso, in un momento storico in cui l’innovazione ha preso il sopravvento e gli strumenti di intelligenza artificiale sono ormai parte della nostra quotidianità: accessibili, diffusi, onnipresenti.
Credo però che la risposta non vada cercata nella tecnologia in sé, ma nel modo in cui noi, come individui, scegliamo di rapportarci ad essa.
Siamo noi a fare la differenza.
Siamo noi a decidere consapevolmente come utilizzare ciò che ci viene fornito.
Siamo noi, nella vita di tutti i giorni, che scegliamo se lasciarci limitare o se avere un’apertura mentale tale da comprendere le potenzialità di ciò che ci circonda. Nel tempo mi sono resa conto che questa differenza di atteggiamento regola tutto:
La consapevolezza è la linea sottile che separa chi osserva il cambiamento da chi lo subisce.
E solo riflettendo su questo si capisce una cosa semplice ma potente: non potremo mai essere davvero uguali.
Un esempio diretto:
tu puoi percepire l’AI come una minaccia e decidere di non utilizzarla; io posso vederla come una risorsa e farne tesoro.
La differenza non è nello strumento, ma nella consapevolezza con cui lo affrontiamo.
A volte qualcuno potrebbe pensare che, parlando di questi temi, ci sia dietro un intento commerciale o un entusiasmo “tecnologico”.
In realtà, si tratta solo di esercitare una logica auto-critica, di imparare a osservare le cose con lucidità.
Essere consapevoli non significa sapere tutto, ma avere il coraggio di guardare davvero.
Quando sei davvero consapevole, non ti fermi all’impressione o al pregiudizio: impari a guardare in modo oggettivo, a comprendere prima di giudicare. Documentarsi è il primo passo per prendere coscienza, per distinguersi, per mantenere il controllo su se stessi in mezzo ai continui cambiamenti del mondo.
Sono nata in un’epoca in cui nulla di tutto questo esisteva. Ho visto la tecnologia evolversi passo dopo passo e, proprio per questo, oggi mi è chiaro quanto sia importante non delegare mai completamente il pensiero.
L’AI è una macchina, non un cervello.
E se lei non pensa, dobbiamo essere noi a farlo.
“Artificiale”: già la parola ci dice tutto. Significa creata, costruita. Non è reale nel senso umano del termine. Eppure, la sua intelligenza dipende totalmente da noi: dai dati che le diamo, dalle intenzioni che mettiamo, dagli input che scegliamo di fornirle.
E allora mi chiedo: come fanno tutti a “saperla usare”?
La verità è che molti non lo fanno. O meglio, non sanno di non farlo nel modo giusto.
Perché usare l’AI non significa scrivere un comando: significa comprendere il suo linguaggio, e soprattutto il nostro.
Forse la vera riflessione è questa:
l’AI genera risultati a partire da un nostro input.
Ma ognuno di noi è diverso, quindi anche gli input lo sono.
Non sarà l’AI a renderci uguali.
Saremo noi a mostrarle, ancora una volta, quanto possiamo essere diversi.
L’AI è solo uno specchio: riflette la mente di chi la guarda.
E forse, nel suo riflesso, scopriremo quanta umanità è rimasta in noi.
Perché, in fondo, non dovremmo temere l’intelligenza artificiale.
Dovremmo temere l’abitudine a smettere di usarne una nostra.
Capire come pensiamo è il primo passo per non farci pensare da qualcun altro.
In my humble opinion
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